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sabato 18 gennaio 2014

Occhio al volantino: può essere ingannevole spingere il cliente a entrare nel punto di vendita

C’è voluta la Corte di Giustizia europea per affermare un principio che chiunque considererebbe lapalissiano: non si può attrarre la clientela a recarsi in un punto vendita con false promesse.

La questione è più delicata di quanto sembri, perché l’utilizzo di comunicazioni che promettono sconti vantaggiosi e offerte speciali è molto diffusa, salvo poi non sempre corrispondere al vero. Spesso, infatti, il consumatore corre a cercare il prodotto in offerta e si sente dire che è andato a ruba, insomma non c’è più. Intanto però la strada l’ha fatta, il tempo l’ha perso e si trova dentro un luogo in cui – già che c’è – magari compra qualcosa. A parte il rischio di disaffezione e sfiducia che ingenera un’esperienza di questo tipo, chi utilizza il meccanismo delle offerte speciali per attrarre la clientela, deve ora fare i conti con le sanzioni previste dal Codice del consumo qualora si configuri l’ipotesi di una pratica commerciale ingannevole.

Nel 2009 l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha punito (Provvedimento n. 19447) Centrale Adriatica Società Cooperativa e Trento Sviluppo s.r.l. con una sanzione amministrativa, rispettivamente, di 30.000 e 60.000 euro per non aver fornito adeguata disponibilità di alcuni prodotti posti in offerta in una promozione pubblicizzata col titolo “Sconti fino al 50% e tante altre occasioni speciali”. Un cliente – ne basta uno – attratto dall’offerta di un computer portatile irreperibile, si è rivolto all’Antitrust che ha considerato ingannevole la pratica in oggetto.

E’ stato precisato come, la dicitura del tutto generica “salvo esaurimento scorte” stampata nell’ultima pagina del volantino non soddisfava lo standard di chiarezza e percepibilità delle limitazioni dell’offerta, necessario affinché il consumatore potesse correttamente comprendere il contenuto della promozione in esame e rispondere ad essa in modo consapevole.

Le società condannate hanno fatto ricorso al Consiglio di Stato, che a sua volta ha investito la Corte di Giustizia europea per avere un chiarimento sull’interpretazione da dare alla norma.

Il risultato definitivo, giunto con sentenza del 19 dicembre 2013, è il seguente: dev’essere qualificata come «ingannevole» la pratica che, da un lato, contenga informazioni false o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto, incluso lo spostamento del consumatore fino al negozio o il fatto di entrarvi.

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