Nasce un nuovo modo di “essere cittadini”, più consapevoli e partecipativi, in grado di influenzare i trend e le scelte dei “grandi” (politici, istituzioni, imprese e media tradizionali). I nuovi media a disposizione permettono loro di far sentire le proprie istanze, di unirsi tra categorie e comunità, determinare i cambiamenti nella società attraverso scelte di consumo responsabili e comportamenti etici.

giovedì 30 gennaio 2014

Burberry si piega alla rete

Basta sostanze chimiche pericolose nei vestiti. La campagna lanciata da Greenpeace contro Burberry per l’eliminazione dai suoi prodotti di sostanze come i flatati, PFCs e l’antimonio ha sortito i suoi effetti in sole due settimane. Il marchio britannico del lusso si è impegnato a non utilizzarle più nei propri vestiti e a ripulire i propri processi produttivi entro il 2020, pressato dalle richieste provenienti dai social media: oltre 10.000 tweet sono arrivati a @Burberry per chiedere di “fare la cosa giusta”, mentre su Facebook, la bacheca del brand è stata sommersa dalle richieste di impegno per un futuro senza sostanze chimiche pericolose. Contemporaneamente gli attivisti di Greenpeace si muovevano in sei nazioni, dalla Cina all’Olanda presidiando con presidi informativi i punti vendita di Burberry. L’operazione di Greenpeace si inserisce all’interno della campagna di sensibilizzazione “Piccoli mostri nell’armadio” basata su uno studio che rivela come nei vestiti per bambini di molti marchi famosi si annidino sostanza pericolose. Hanno già aderito all’iniziativa, promettendo di rendere detox i propri vestiti e a ripulire i propri processi produttivi Nike, Adidas, Puma, H&M, M&S, C&A, Li-Ning, Zara, Mango, Esprit, Levi’s, Uniqlo, Benetton, Victoria’s Secret, G-Star Raw, Valentino, Coop, Canepa e da oggi anche Burberry.

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